L’accoppiamento “fase ampienza”, come criterio per valutare l’integrazione del sistema di rete cerebrale.

L’accoppiamento “fase ampienza”, come criterio per valutare l’integrazione del sistema di rete cerebrale.

The phase amplitude coupling to assess brain network system integration.

Brain Dynamics sembra essere l’approccio più attuale alle risposte cerebrali agli stimoli esterni. Anche se i potenziali evento-correlati sono attività di risposta elettrica oggi comunemente rilevata dallo Elettroencefalogramma , Le variazioni della potenza calcolata delle diverse bande di frequenza presenti nello EEG e l’accoppiamento tra la fase delle oscillazni a più bassa frequenza e l’ampiezza delle oscillazioni a più alta frequenza (CfM – Cross Frequency Modulation) sembrano essere il modo più appropriato per valutare tale dinamica cerebrale. In questo studio sono stati studiati 13 soggetti borderline con una storia di maltrattamento minorile rispetto a 11 controlli senza alcuna storia psicopatologica. Entrambi i gruppi sono stati esposti al Paradigma Odd Ball e le relative attività EEG sono state registrate da 256 elettrodi sul cuoio capelluto. Le persone maltrattate hanno portato a livelli più elevati di distimia e peggiori prestazioni comportamentali, nonché a una maggiore disregolazione emotiva. I correlati elettrofisiologici sono stati valutati con una diversa dinamica cerebrale rilevata nel gruppo maltrattato quando sono stati presentati stimoli target. I risultati confermano l’importanza dell’accoppiamento di ampiezza di fase e della valutazione della CfM. I risultati supportano il ruolo di tale metodo per la diagnostica clinica e suggeriscono una spiegazione per l’uso dell’effetto di trascinamento cerebrale per gli interventi terapeutici. Inoltre la presenza di questi fenomeni oscillatori e questo tipo di dinamica cerebrale suggeriscono la compatibilità di tali risultati con strutture neurali di tipo “scale free” nelle architetture di reti cerebrali, dove un piccolo numero di hub, con alti gradi di connessione, sono incorporati all’interno di un grande insieme di neuroni con basso grado di interconnessione.

A. Potenziali relativi agli eventi

Negli ultimi dieci anni è stato dimostrato che la complessa architettura anatomo funzionale del cervello non opera come sequenza di processi localizzati in nuclei specifici, ma come attività integrata di nuclei diversi a volte anche molto distanti tra loro, che si attivano a seconda sul tipo di compito generale da svolgere. L’integrazione degli studi di neurofisiologia, con gli studi di brain imaging (fMRI, PET) ha permesso di ipotizzare che l’attività mentale tenda ad integrarsi in poche grandi reti funzionali (B-Nets: Brain Networks), quattro delle quali sono le principali “configurazioni funzionali ” del cervello e almeno altre tre sono “reti di servizio” relative alla specifica fonte sensoriale coinvolta (SL Bressler e Menon V, 2010; Markus Reichle, 2011). Questi B-Net sono caratterizzati da attività elettrica prodotta da miliardi di neuroni, di cui quelli dei neuroni piramidali della corteccia sono rilevabili elettricamente esternamente sul cuoio capelluto. L’attività qui registrata è quindi l’espressione di un’integrazione spaziale e temporale delle attività locali, producendo un segnale complesso (EEG) scomponibile in diverse bande di frequenza. Utilizzando sistemi digitali per la registrazione del segnale EEG sul cuoio capelluto e sofisticati sistemi di calcolo automatico ora disponibili e facilmente accessibili (EEGLAB), è possibile ricostruire il segnale originario prodotto da specifiche aree della corteccia e analizzarne le caratteristiche sia basali, sia successive alla stimolazione mentale da specifici compiti percettivi e cognitivi. Tali segnali possono essere descritti sia in funzione dell’intensità dell’attività elettrica osservata nelle diverse bande di frequenza (analisi dello spettro di potenza), sia in funzione dell’attività di picco complessivamente osservabile nella banda 12-16 Hz (ampiezza e latenza di i primi 3-4 quindi positivi e/o negativi) Quando uno stimolo, passato attraverso le stazioni sensoriali, raggiunge il cervello a livello diencefalico, viene incanalato in due complessi circuiti cortico-sottocorticali ricorsivi, con conseguente modifica delle bande spettrali dell’EEG (Alfa: 8-12 Hz, Beta: 12-30 Hz, Delta: 1-4 Hz e theta: 4-8 Hz), generato da un reset di fase prevalentemente nella banda Theta. Questi eventi sarebbero quelli che, sommati tra loro, genererebbero almeno una parte del complesso P1/N2 osservabile negli Event Related Potentials (ERP) dei primi 200 ms (Klimesch et al., 2004; Gruber et al., 2005) anche se in alcuni casi è stata messa in discussione una chiara evidenza, come ad esempio per quanto riguarda l’ERN, picco negativo osservabile a circa 100 ms dopo un guasto (Yeung et al, 2007). D’altra parte, in un recente studio del 2012 Muller e Anokhin hanno ulteriormente evidenziato la sovrapposizione tra ERP e variazioni osservabili in ampiezza e sincronizzazione di fase dello spettro di potenza nella gamma Theta e Delta (Muller e Anokhin, 2012).

B. Accoppiamento fase/ampiezza (CfM – CrossFrequencyModulation)

Le onde ERP potrebbero quindi rappresentare gli effetti EEG di un fenomeno di rete globale, che consiste, dopo la presentazione di uno stimolo, in un processo di integrazione del sistema mediante una sincronizzazione di fase a bassa frequenza. Il modello interpretativo si trasforma così da un modello lineare di sistemi sequenziali a un processo dinamico di un intero sistema a rete: non solo appare quindi un fenomeno globale delle B-net, ma sembra anche non presentare una chiara opportunità di identificare una sequenza di attivazioni cortico-sottocorticali seguendo un preciso percorso anatomico e funzionale ma attività ritmicamente coordinate di diverse reti B (Meehan e Bressler, 2012). Le attività elettriche a frequenza superiore a 40 Hz sembrano correlarsi con le attività locali specifiche delle diverse strutture coinvolte nella B-Net, mentre le attività nel range di frequenza inferiore a 12 Hz, supportando per lo più fenomeni rilevabili come “potenziali legati all’evento”, si sembrano essere più legati alle attività di integrazione funzionale delle varie componenti della B-Net (von Stein e Sarnhein, 2000 Yeung et al, 2007; Steinke e Galan, 2011; Meehan e Bressler, 2012). Queste attività di integrazione tendono a modulare funzionale l’attività locale, determinando una fase di sincronizzazione tra aree diverse troppo lontane; questo effetto è chiamato Phase Amplitude Coupling o più in generale Cross Frequency Modulation – CfM (He et al, 2010). (Canolty e Cavaliere, 2010). Il fenomeno della CfM, risulta essere un fenomeno elettrofisiologico estremamente importante correlato ai processi di integrazione funzionale cerebrale (He et al, 2010), all’apprendimento (Tort et al, 2009), alle funzioni cognitive superiori e alla comparsa della coscienza ( Melloni et al, 2007 Tononi, 2010). Questa integrazione e armonizzazione cerebrale sembra meno evidente nei pazienti psicotici rispetto ai controlli sani (Allen et al, 2011). La quantificazione del livello di integrazione cerebrale (valutata dal CfM), della funzionalità dei B-Net (valutata dall’ERP classico) e della dinamica cerebrale nei domini spazio-temporali (misurata dagli spettri di potenza), appaiono nel loro insieme come un potenziale utile strumento diagnostico e di monitoraggio per la diagnosi clinica di varie malattie in cui il deterioramento cognitivo appare primario o secondario a un’elaborazione affettiva difettosa.

C. La prospettiva Clinica

L’importanza della frequenza di transmodulazione nell’integrazione del cervello complesso apre prospettive interessanti in psichiatria nei domini diagnostici così come nei processi di riabilitazione affettiva e miglioramento cognitivo. Un gruppo diagnostico in cui erano già stati trovati correlati neurofisiologici sono i Disturbi Borderline di Personalità, che erano correlati a una storia personale di maltrattamento genitoriale. Infatti la presenza di un nutrimento inadeguato da parte delle figure genitoriali può portare allo sviluppo di una sindrome traumatica cronica che Van der Kolk e il gruppo on Diagnosis del National Child Traumatic Stress Network hanno proposto di definire come Complex Trauma Disorder (Complex PTSD) o Developmental Disorder da trauma (van der Kolk, 2005). I sintomi classici del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) dell’adulto riguardano il risveglio degli eventi dolorosi, uno stato di ipereccitazione emotiva e autonomica, una sensazione di intorpidimento e una tendenza ad evitare le condizioni associate al trauma. Nel PTSD Complesso, secondo Van der Kolk, diventa invece parte integrante della sindrome, tutta una costellazione di sintomi e vissuti del soggetto, che nel PTSD sono considerati solo come potenziali complicanze. La presenza di una disregolazione emotiva, con aumento della frequenza dei comportamenti impulsivi, con la presenza di sintomi dissociativi, relazioni disfunzionali, somatizzazione, associata a una ridefinizione dell’intero sistema di significati che supportano un’alterazione della percezione delle persone abusanti e aggressive, sono tutte caratteristiche fondamentali di questa sindrome. Negli ultimi anni ha suscitato molto interesse la possibilità che le neuroscienze possano evidenziare dati a sostegno dell’impatto di una storia personale (con un’infanzia segnata da maltrattamenti). Nel concetto di maltrattamento sui minori è inclusa sia una storia di accudimento inappropriato sia una passata esposizione a violenze domestiche e abusi sessuali durante l’infanzia. Tale storia di maltrattamento, infatti, sembra lasciare segni permanenti nel funzionamento globale del cervello, con modificazioni nelle modalità con cui la mente interagisce con l’ambiente esterno e il proprio mondo interiore. Le persone con PTSD complesso presentano modificazioni nelle deviazioni elettriche rilevabili all’EEG circa 400 ms dopo la presentazione di uno stimolo significativo, nonché circa 300 ms dopo la presentazione del feedback sulla propria prestazione: correlata a queste ultime è la difficoltà di queste persone a imparare dall’errore e dalle esperienze di vita.
L’interpretazione sistemica delle personalità borderline con una storia personale traumatica complessa può riguardare un’interruzione della loro integrazione sistemica interna ed esterna che può portare alla loro diminuzione della resilienza nell’affrontare lo stress emotivo della vita quotidiana. Questa disfunzione a sua volta può essere la causa della maggiore instabilità, impulsività e angoscia con una forte ricerca di oggetti modulanti esterni (ad esempio dipendenza da persone e/o abuso di sostanze) che è clinicamente osservabile in tali pazienti.

d. Considerazioni sui risultati ottenuti (vedi articolo originale)

I risultati ottenuti sono in accordo con quanto già rilevato, e pubblicato in letteratura, evidenziando la presenza di alterazioni della dinamica cerebrale e della CfM nei soggetti patologici rispetto ai soggetti di controllo, confermando l’ipotesi di un intervento dei fenomeni di ampiezza di fase l’accoppiamento come modalità generale di integrazione sistemica. La presenza di una diversa sensibilità nell’accoppiamento di ampiezza di fase associata ad una diversa dinamica cerebrale nei pazienti rispetto al gruppo di controllo evidenzia la possibilità di nuove vie sia per la diagnosi che per la riabilitazione di disturbi clinici altrimenti molto difficili da trattare.
La presenza di un deterioramento cognitivo in una tale classe di disturbi legati a una disregolazione emotiva ci suggerisce interessanti considerazioni sulla relazione emozione cognizione, ma anche sulle differenze tra un tale deterioramento ei disturbi psicotici del pensiero.
Inoltre sia i dati clinici che quelli neurofisiologici confermano il fatto che l’integrazione sistemica delle persone con disturbo di personalità, almeno del Cluster B (DSM IV), sembra essere alterata. La minore qualità e livello di adattamento nelle relazioni sociali e il CfM cerebrale compromesso supportano tale ipotesi. In questa prospettiva la sofferenza sia del soggetto che dell’ambiente sociale circostante in tali disturbi conferma la validità del quadro teorico sistemico dei disturbi psichiatrici e della funzionalità mentale in generale.
L’approccio sistemico ci suggerisce che l’intervento fisico durante l’elaborazione dello stimolo può recuperare le prestazioni cognitive e migliorare anche il livello di adattamento del paziente. Tale intervento può operare per effetto di trascinamento cerebrale.
Infatti l’accoppiamento di ampiezza di fase, che molto probabilmente rappresenta il fenomeno dinamico cerebrale di base del processo di integrazione del cervello, ha il brain trascinament (BE) come il processo parallelo a livello macro sistemico, mediante il quale i sincronizzatori ambientali integrano i sistemi neurali in un sistema più complesso livelli macro. Le onde cerebrali EEG sono infatti trascinate da stimoli ritmici esterni. L’effetto trascinamento consiste in una sincronizzazione dell’EEG che tende ad entrare in ritmo e in fase con quello di uno stimolo esterno. Questa sincronizzazione tende a permanere per qualche secondo anche dopo la fine dello stimolo. Sono stati pubblicati molti articoli su questo effetto di trascinamento sugli EEG utilizzando come stimoli sia suoni, segnali visivi che stimoli tattili. Per ottenere questo effetto, gli stimoli esterni devono essere presentati, però, con una frequenza simile a quella già presente nell’EEG. In particolare, le frequenze di stimolo utilizzate erano comprese tra 8 e 24 Hz, anche se sono state pubblicate ricerche dove frequenze di stimolo inferiori (nell’intervallo 4-8 Hz o anche 1-4 Hz) o superiori (fino a raggiungere la Sono stati utilizzati intervalli di onde della banda gamma superiori a 40 Hz). La possibilità dell’uso clinico di questi stimoli per modificare lo stato mentale fu scoperta già alla fine dell’Ottocento da Pierre Janet, il quale notò che l’uso di uno stimolo luminoso intermittente poteva calmare alcuni pazienti. Adrian e Mathews nel 1934 osservarono che le onde EEG Alpha sono potenziate in ampiezza da stimoli luminosi della stessa frequenza. Osservazioni simili sono state fatte con stimoli tattili (Dempsey e Morison, 1942) e con stimoli uditivi (1959). Ma lo studio che ha dato un vero impulso all’utilizzo del Brain Entrainment a fini clinici è stato pubblicato da Oster in un suo famoso articolo del 1973, utilizzando un battito binaurale. È stato osservato che questo effetto aumenta la capacità del cervello di rilevare ed elaborare in modo esaustivo gli stimoli che arrivano con lo stesso ritmo di quelli ricevuti in precedenza e quindi è stato anche suggerito che potrebbe essere un fenomeno molto importante coinvolto nei processi attenzionali.
È stata dimostrata l’efficacia di molte procedure che sfruttano l’effetto di trascinamento in un ampio gruppo di situazioni. Sembra, però, che la sensibilità vari a seconda delle frequenze dello stimolo. Quello più utilizzato è tra 8 e 10 Hz, nella gamma delle onde Alpha EEG. Questa frequenza EEG è generalmente associata a condizioni di vigile calma e quiete. Se usati per stimolare la corteccia a reagire in questa banda con l’effetto BE, questi stimoli portano a risultati positivi nella gestione di alcuni tipi di stress e dolore oltre a migliorare la funzione della memoria.
L’uso del trascinamento cerebrale nell’intervento clinico è già una pratica nella tecnica del movimento oculare, desensibilizzazione e rielaborazione (EMDR). L’EMDR si è dimostrato efficace nel trattamento della sindrome post traumatica, supportando la reintegrazione cognitiva dell’esperienza passata in un quadro cognitivo più resiliente.
Pertanto la possibilità di valutare tale effetto misurando l’effetto di modulazione della frequenza incrociata e la forza di integrazione del cervello può supportare l’ulteriore implementazione di nuove procedure diagnostiche e metodi terapeutici.

Queste ultime conclusioni e considerazioni sono ulteriormente supportate da una serie di prove e argomenti relativi al funzionamento del cervello. A questo proposito si possono citare due circostanze: il ruolo della struttura che caratterizza le reti cerebrali e il verificarsi di valanghe a spillo. Per quanto riguarda la struttura della rete cerebrale dobbiamo, seguendo il suggerimento fatto nel lavoro seminale da He et al. (2010) e le evidenze di Bassett e Bullmore (2012), riconoscono che questa struttura è, con alta probabilità, del tipo scale-free. Ciò comporta la presenza di un numero relativamente piccolo di hub con alti gradi di connessione, incorporati all’interno di un grande insieme di neuroni con bassi gradi. Semplici argomentazioni, fatte in relazione sia alle reti ordinate che a quelle disordinate, mostrano che le reti scale-free sono le più adatte a trasmettere su grande distanza segnali a bassa frequenza. Questi ultimi sono proprio quelli necessari per consentire un’integrazione tra le attività delle diverse reti cerebrali.
D’altra parte, la presenza osservata di valanghe neuronali (vedi, ad esempio, Shew et al., 2009), pur consentendo la persistenza del cervello in uno stato critico associato alla massima sensibilità rispetto alle influenze ambientali (vedi anche Uhlig et al. ., 2013), può indurre la propagazione di segnali caotici. Nonostante l’utilità di questi ultimi nell’amplificare fonti informative piccole, ma potenzialmente interessanti, possono impedire il regolare funzionamento del sistema cerebrale, richiedendo, spesso, output ordinati per far fronte ai problemi di adattamento all’ambiente esterno. Come dimostrato da numerose ricerche sul controllo del caos (si veda, per una rassegna, Schöll e Schuster, 2008) uno dei migliori metodi per domare gli effetti negativi dei segnali caotici consiste nell’applicare un input a bassa frequenza (tipicamente periodico). Questo fatto aggiunge un argomento più forte, basato su ulteriori scoperte della ricerca neuroscientifica, a sostegno dell’importanza della modulazione di frequenza incrociata e del trascinamento cerebrale.

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