Tutela della Genitorialità e del Benessere del Minore

Tutela della Genitorialità e del Benessere del Minore

Il 36% degli adulti riferisce di avere subito uno o più eventi di abuso psicologico, il 15%-20% dei minori manifesta comportamenti (bullismo, abuso di sostanze e internet, violenza di genere) come se fossero stati soggetti a maltrattamento o abuso nell’infanzia, ma solo l’1% è intercettato e inviato in sistemazioni extrafamiliari, scindendo in modo drammatico il sistema naturale di tipo parentale. Mancano criteri oggettivi d’intervento soprattutto quando il maltrattamento e l’abuso sono solo di natura psicologica e le loro ferite creano cicatrici nella mente e non sulla pelle. In ogni caso la vera tutela del minore consiste nel proteggere il più possibile il suo sistema familiare di origine, senza delegittimare il ruolo parentale di nessuno dei due genitori, ma aiutandoli a svolgere ciascuno il loro ruolo nel modo più sano, sostenibile ed efficace possibile.

Maltrattare un minore significa mettere a rischio la sua capacità futura di stabilire relazioni sane con altri adulti,  oltre che limitare di molto la sua possibilità di auto garantirsi un sufficiente stato di benessere nel rispetto dell’altra persona.

Sintomi di malessere e disagio nella gestione della propria affettività e delle relazioni tra pari nei giovani di oggi sono colti in sin troppe occasioni, sino a giungere alla ribalta dei notiziari. Il 15% – 35% dei giovani minorenni si trova coinvolto in modalità relazionali basate sul’abuso e sulla violenza, ma soprattutto sul non rispetto della dignità dell’altro. Secondo alcune fonti il cyber bullismo coinvolge il 15% dei minorenni. Spesso la violenza infesta anche le relazioni dove dovrebbe dominare l’affetto, la solidarietà e l’amore, come i rapporti di genere.

Nel 6% dei giovani si osserva una dipendenza da internet, mentre il consumo di droga sembra collocarsi in Europa intorno al 14% dei giovani.

Questi comportamenti, che esplodono soprattutto nell’adolescenza dopo la pubertà, non rappresentano né nuovi modi di relazionarsi in modo diversamente sano e funzionale (in termini di sinergia, solidarietà o scambio affettivo), né nuove strategie adattative e di autoregolazione affettiva che realmente supportino una sana condizione di autonomia personale.

Disregolazione affettiva, incapacità di sentire le proprie e altrui affettività, l’incapacità di vedere le relazioni da un “punto di vista terzo” (di sistema, di gruppo), la tendenza a negoziare le relazioni con l’imposizione o l’evitamento nascono tutte da un’alterazione della funzione del sistema parentale. Senza le capacità d’intuizione e di meta cognizione, che possono emergere solo da una sana relazione parentale, non si creano le basi neppure di quella fondamentale proprietà dell’uomo collettivo, che è la cooperazione creativa; questa è la capacità dell’uomo maturo, civile, libero ed autonomo, di collaborare insieme all’altro, ognuno con le proprie competenze, in modo tale che la torta che prima si poteva dividere solo in pochi, ora invece possa essere moltiplicata a beneficio di tutti.

Il rapporto genitori figli (oggi non è più solo un genitore chi si occupa della crescita affettiva, fisica e culturale del minore) ha la sua base innata nel sistema dell’attaccamento, per poi modularsi con l’esperienza realmente vissuta nel proprio sistema parentale, divenendo quindi lo stile relazionale dell’individuo con il proprio sé, con l’altro, con la conoscenza del mondo.

Possono essere distinte tante forme di maltrattamento: si inizia dalla disattenzione (che acquisisce la sua drammaticità visibile solamente quando implica anche una disattenzione dell’accudimento fisico) sino a giungere all’abuso vero e proprio, dove il patto protettivo ed educativo del genitore verso il figlio, viene tradito attraverso la manipolazione e l’uso del minore a solo vantaggio dell’adulto, anche a rischio di esporlo a esperienze nocive e/o di intenso malessere.

Nel caso dell’abuso è più facile identificare quello che si esprime anche sul piano fisico, oltre a quello psicologico; quest’ultimo invece, quando rappresenta la forma essenziale di abuso, si esprime in modo molto più subdolo ed è spesso identificato (o non identificato in modo appropriato) solo sulla base di un giudizio soggettivo di un “esperto”, in assenza di una qualunque oggettività basata sull’evidenza condivisibile. Quest’aleatorietà dell’identificazione dell’abuso e del maltrattamento psicologico in generale ha, di fatto, comportato delle criticità, di cui molte hanno interessato le prime pagine dei giornali, a causa di eccessi a volta di natura opposta; vi sono state situazioni assolutamente non devianti la norma, inquadrate invece in modo inappropriato, tanto da divenire loro stesse causa fondamentale di maltrattamento, quando hanno comportato rotture non assolutamente necessarie del sistema parentale. Oppure vi sono state condizioni di rischio e di abuso reale che per contro sono state assolutamente sottovalutate o mal gestite,  in funzioni a volte di pregiudizi, a volte di incompetenze.

E’ opportuno quindi un momento di riflessione su questi fenomeni disfunzionali della funzione parentale e sulle gravi conseguenze che da essi possono derivare, se non vengono assistite istituzionalmente in modo appropriato. Così è anche necessario riflettere su quali siano, a seconda dei casi, le modalità di intervento veramente più appropriate, attraverso diagnosi precoci, ma tecnicamente adeguate, così come con attività di assistenze diretta alle famiglie, limitando gli interventi di affido extrafamiliare, solo quando il rischio per la salute del minore (permanendo nel contesto familiare), superi chiaramente il rischio dei danni generati dalla privazione della sue rete parentale naturale.

Se solo lo 0.33 % dei minori risulta subire un abuso psicologico di grado elevato, mentre il 36% degli adulti riferisce di averne subiti nel corso della loro infanzia ed adolescenza, ma soprattutto se si osserva che il  15%-20% degli adolescenti esprime comportamenti come se fosse stato esposto a maltrattamento o abuso nella corso dell’infanzia, allora, forse, qualcosa veramente ci sfugge.

E’ necessario dunque un momento di riflessione sul problema, chiamando medici, psicologici, antropologi, avvocati, magistrati, giuristi, docenti universitari e ricercatori a fare il punto della situazione, identificando nuove metodologie d’indagine, nuove modalità di intervento, nuove necessità attuative o legislative della norma al fine di non fallire come società nel ruolo irrinunciabile di tutela e di formazione del cittadino di domani.